I due principali modelli esposti
Flying Dutchman
Progetto: Ulike Van Essen e Conrad Gulker, Paesi Bassi (1951) Scafo: tondo, in legno poi vetroresina Equipaggio: 2 persone Lunghezza fuori tutto: 6050 mm Larghezza: 1700 mm Superficie velica: 17 mq Piano velico: randa, genoa e spinnaker Classe Olimpica dal 1960 (Roma/Napoli) al 1992 (Barcellona). Il progetto originale nasce con scafo, albero e boma in legno. Nel 1956 vengono costruiti i primi scafi in vetroresina. Nel 1979 comincia la costruzione in sandwich. Nel 1982 kevlar, fibre di carbonio e cottura in forno. I FD attuali da regata vengono costruiti interamente in fibra di carbonio pre-impregnata. Molte attrezzature oggi di uso comune sulle deriva sono state inventate o introdotte per la prima volta sul Flying Dutchman, ad esempio il trapezio per il prodiere, il pozzetto auto-svuotante, avvolgi-genoa, il doppio spinnaker. |
Snipe (o Beccaccino)
Progettista: Bill Crosby, USA (1931) Scafo: a spigolo, in legno poi vetroresina Equipaggio: 2 persone Lunghezza fuori tutto: 4720 mm Larghezza: 1520 mm Superficie velica: 12 mq Piano velico: randa/fiocco, tangone per il fiocco nei laschi (niente spinnaker) Le costruzione è regolata ed è strettamente monotipo con possibilità di innovazioni su attrezzatura, manovre e disposizione della coperta. La tecnica costruttiva dello varia a seconda del costruttore; generalmente sandwich di balsa o termanto in vetroresina (poliestere o epossidica) con talvolta lavorazione sottovuoto; alcune barche in legno (nuove e vecchie) sono ancora competitive; nessun materiale esotico (niente carbonio o kevlar). L'albero è in alluminio con rastrematura sulla punta. L'uso del carbonio è espressamente vietato. |
Le barche in legno alle Olimpiadi
Dopo le 23 di Londra (1948), le 29 di Helsinki (1952), le 26 di Melbourne (1956), ci vollero l’incanto e la magia delle parole “Italia” e “Napoli” per provocare un balzo così deciso del numero delle Nazioni concorrenti alle prove Olimpiche di vela: un totale di quarantasei Nazioni si iscrissero alle Regate della XVII Olimpiade di Roma.
La lunga fase preparatoria di questo straordinario avvenimento, durata tre anni, fu denominata “Operazione Sole Mio”, e vide impegnate tutte le forze della nostra nazione: dalle istituzioni politiche al CONI, al’USVI (l’attuale FIV), alla Marina Militare e ai Circoli Nautici partenopei. Per l’occasione i porticcioli di Posillipo, Santa Lucia e Molosiglio furono ampliati e dragati, i moli adattati e dotati di banchine per accogliere le barche dei regatanti. Ai Circoli nautici napoletani, che vantano una lunga tradizione di ospitalità, fu affidato il compito più delicato della ricezione e dell’accoglienza dei concorrenti.
Gli entusiastici commenti della stampa nazionale ed estera definirono l’Olimpiade di Roma, e in particolare le gare svoltesi a Napoli, “un capolavoro di serietà organizzativa”.
La lunga fase preparatoria di questo straordinario avvenimento, durata tre anni, fu denominata “Operazione Sole Mio”, e vide impegnate tutte le forze della nostra nazione: dalle istituzioni politiche al CONI, al’USVI (l’attuale FIV), alla Marina Militare e ai Circoli Nautici partenopei. Per l’occasione i porticcioli di Posillipo, Santa Lucia e Molosiglio furono ampliati e dragati, i moli adattati e dotati di banchine per accogliere le barche dei regatanti. Ai Circoli nautici napoletani, che vantano una lunga tradizione di ospitalità, fu affidato il compito più delicato della ricezione e dell’accoglienza dei concorrenti.
Gli entusiastici commenti della stampa nazionale ed estera definirono l’Olimpiade di Roma, e in particolare le gare svoltesi a Napoli, “un capolavoro di serietà organizzativa”.
Le imbarcazioni
Ecco alcune imbarcazioni a vela con scafo in legno simili a quelle partecipanti alla prima edizione de Il Legno e il Mare.
Ognuna ha una sua storia, peculiare come le sue caratteristiche. Qui troverete la descrizione e la storia delle imbarcazioni, elencate in ordine alfabetico.
Ognuna ha una sua storia, peculiare come le sue caratteristiche. Qui troverete la descrizione e la storia delle imbarcazioni, elencate in ordine alfabetico.
1 - Aldebaran II
Aldebaran II venne costruita nel 1956 completamente in legno, dalla deriva alla punta dell'albero; solamente i bozzelli e gli strozzatori sono in bachelite. Il fasciame è incollato incrociato ed avvitato al paramezzale, la coperta forma due camere d’aria a prua e a poppa e due camere d’aria sotto le panche laterali tali da aumentarne le doti di galleggiabilità e facilitare il raddrizzamento della barca in caso di scuffia (ribaltamento). Tutto lo scafo è verniciato con pittura trasparente lasciando da sempre il legno a vista.
Baglietto di Varazze (SV) è il primo cantiere italiano che cominciò a produrre scafi completi da regata. Produsse molti scafi in legno per i più importanti regatanti degli anni '50, tra cui Porta, Spirito e soprattutto Mario Capio. Quest'ultimo, genovese di Nervi, vinse l'argento al campionato europeo Snipe e l'oro al campionato del mondo di Santander nel 1955. In Classe FD è campione italiano nel 1956 e 1957; nello stesso anno vince le regate internazionali di Barcellona. Nel 1959 Mario Capio e Tullio Pizzorno vincono il campionato del mondo della classe a Whitstable in Inghilterra. |
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2 - Alzavola II
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La barca fu acquistata dalla FIV per il proprio timoniere Carlo Massone con cui partecipa alle olimpiadi di Città del Messico assieme con Ottonello, classificandosi diciannovesimi a causa, pare, di impostazioni incorrette dell'armo. Nel 1970 la barca venne affidata al nuovo equipaggio Falco - Taddei che parteciparono ai campionati europei di Spagna ed ai campionati italiani.
La barca è stata restaurata: ora è di colore verde acqua ma conserva moltissima attrezzatura originale in bachelite. |
3 - Black Shadow
Black Shadow, costruito nel 1968 dal cantiere inglese Bob Hoare, venne trasferito in Adriatico dalla Toscana negli anni Settanta da Piero Gori. Dopo un secondo passaggio di proprietà, venne acquistata agli inizi degli anni Ottanta dagli attuali proprietari che promossero un rilevante restauro di carattere strutturale presso il cantiere del maestro d’ascia Lombardini di Rimini.
Agli inizi degli anni Duemila, presso il cantiere nautico Morri e Para di Viserba (RN), venne eseguito un secondo intervento di carattere strutturale che comportò il rifacimento della coperta e della camera stagna, nonché la rettifica dell’assetto complessivo dello scafo. Lavori di messa a punto delle manovre fisse e correnti e la realizzazione delle vele (randa, genoa e spinnaker) sono stati eseguiti in anni recenti da Miro Mini. |
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4 - Bora Bora
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Realizzata per partecipare alle Olimpiadi del 1972 a Monaco di Baviera in Germania, l'equipaggio non riuscì a qualificarsi e dunque fu accantonata.
Dopo anni di navigazione in Adriatico, trascorse un po’ di tempo all’interno di un capannone e da lì fu recuperata dagli attuali armatori per essere restaurata, con interventi prettamente di natura estetica. |
5 - Crazy horse
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6 - Delfino
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7 - Elisabetta
L’architetto navale olandese Uilke van Essen (progettista del Flying Dutchman) progettò a fine 1954 una barca di dimensioni ridotte (circa 2/3) chiamandola Flying Junior. Le uniche imposizioni riguardavano la monotipia dello scafo (all’esterno), della deriva, della pala del timone e del piano velico. Si affermarono due tipi di costruzione: il ply-wood e la vetroresina.
Franco Boido, sostenitore appassionato del FD, Segretario della Classe per l’Italia e Consigliere Federale, avendo intuito che il FJ poteva essere utile per addestrare neofiti, ne fece importare in Italia sei esemplari costruiti con materiali diversi. Due degli esemplari importati furono esposti nel marzo 1957 all’Accademia Navale di Livorno in occasione dell’Assemblea Generale dell’U.S.V.I. (Unione Società Veliche Italiane, oggi F.I.V.). Il primo FJ costruito in Italia, presso il cantiere Morri e Para di Rimini, fu chiamato Elisabetta, nome dell’ultimogenita di Piero Serpieri. Gli fu inizialmente attribuito il numero velico internazionale 252, che in seguito, quando all’Italia verrà assegnata una propria numerazione, diverrà I-2. Il numero 251 era invece lo scafo importato dall’Olanda ed usato da Morri e Para - il cui cantiere era allora sulla riva destra del porto - quale modello per costruire il 252. Contemporaneamente l’A.L.P.A di Fiesco (Cremona) iniziava a produrre i primi esemplari in vetroresina. Il FJ 252 Elisabetta fu varato nel luglio 1957 sullo squero del Club Nautico di Rimini, è lungo 4,04 metri e largo 1,50; pesa circa 60 kg a secco, circa 90 kg armato. L'alberatura, così come lo scafo, sono interamente in legno. All’epoca le barche come un FJ venivano immatricolate alla Capitaneria di Porto nel registro del naviglio minore: il Nostromo però non sapeva a quale classe assegnarla e dunque la iscrisse, in compromesso, come “Beccaccino modello Flying Junior”. In pochi anni, scesi in campo vari altri cantieri, furono assegnati ben 236 numeri velici. Il Segretario di Classe Lesi, con un lavoro intenso, portò in pochi anni la Classe FJ ad un livello di diffusione allora inimmaginabile facendola diventare di gran lunga la barca più diffusa in Italia. Successivamente il cantiere Morri e Para si trasferì a Viserba, conquistando notorietà in tutto il mondo per le sue splendide barche. |
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8 - Filrouge
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9 - Gaia
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10 - Gori
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11 - King fisher
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12 - Modernicus
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Costruita in Francia nel 1972 (il numero velico originale era F - 157) con scafo in balsa e kevlar, assemblato usando la performante tecnica del sandwich. La forma dello scafo segue le linee d’acqua in modo quasi perfetto,
Ai comandi dei velisti francesi Yves e Marc Pajot, diventò campione del mondo nel 1975. I due velisti francesi raggiunsero le vittorie più significative senza interruzioni durante una sola stagione: Cannes (ski-yachting), San-Remo, Hyères, La Baule (campionato francese), Weymouth (settimana olimpica), le regate pre-olimpiche e la medaglia d’argento di classe alle Olimpiadi estive di Montréal del 1976 (Canada). La FIV acquistò lo scafo nel 1977 dalla federazione francese di vela e la re-immatricola in Italia con il numero velico I-1029. I fratelli Poli di Pisa iniziarono ad utilizzarla e ne rimasero entusiasti tanto da intestarsi intestano la barca, continuando a vincere molte regate. Avendo acquistato un nuovo scafo, i fratelli Poli prestarono Modernicus al fortissimo equipaggio formato da Marco Savelli e Roberto Gazzei per competere nella regata internazionale a Rieka (Croazia) nel 1978. Lo scafo fu per tantissimi anni gelosamente custodito in Versilia da Antonio Colonna e venne poi portato a Pavia per essere sottoposto a un restauro conservativo che lo ha riportato agli antichi splendori grazie all'intervento di FDSI. L’attrezzatura di coperta è stata aggiornata nel tempo senza esagerare con le nuove fibre in carbonio che però si adattano perfettamente alla leggerezza dello scafo nero. Terminati i lavori la barca è stata affidata alle cure del nuovo proprietario, il giovane Nicolò. |
13 - Nebri IV
La barca fu costruita alla Italcantieri, ora Fincantieri, dal maestro d'ascia Marcello Sfetez, che si ispirò alla figlia più piccola per darle il nome.
Uno dei suoi primi armatori fu Federico Riccioni, fondatore del Club Nautico di Riccione nel 1933 e suo primo Presidente. Successivamente passò al figlio Raul per poi passare nelle mani del nipote Roberto. |
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14 - Sciria IV
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Costruita da Bob Hoare tra il gennaio e febbraio del 1969 per la famiglia Parodi, noti ristoratori di Arenzano che la portarono in regata per alcuni anni. Fu poi acquistata dal Signor Vaccari di Chiavari che a sua volta la cedette al suo nipote monzese Andrea Zorloni. Fu condotta per oltre vent'anni nelle acque di Chiavari e qualche anno di regate sui principali laghi fino ai campionati italiani del 1991. Nel 2007 a causa di un disguido con Marina di Chiavari lo scafo venne ricoverato in un garage a Monza e messo in vendita. Nel settembre 2009 fu acquistata dall’architetto Remagnino che la porta a Genova per un piccolo restauro.
Barca praticamente perfetta dopo 40 anni, viene portata a Recco per il raduno “Il mare ci unisce” con una bella prestazione alla veleggiata (prodiere Franco Dodero). La barca è stata ospite con altre prestigiose barche d’epoca sul tappeto blu del Portofino Rolex Trophy, nonché alle prime due “Festa della Marineria” a La Spezia in equipaggio con Alessandro Falco. Presente anche a Porto San Giorgio con Enrico Maresca nel 2011 al raduno di Derive d’epoca in occasione del centenario della nascita di Erasmo Silenzi. Ultima regata contro Strolaga 2 al primo raduno Nazionale di FD Storici. |
15 - Strolaga II
La barca venne data in uso all’equipaggio formato da Enrico Isenburg e Gerosa dello Yacht Club Italiano di Genova, arrivando quinta alla selezione olimpica del 1968 a Porto San Giorgio. Fino al 1970 partecipa, vincendo, a svariati campionati.
Lo scafo era originariamente tutto flatinato con legno a vista su opera morta, coperta e pozzetto, nella tradizione olandese. Venne poi colorato di blu scuro con una striscia bianca, per allinearsi alla moda del tempo. Infine, lo scafo venne verniciato nell’opera viva con la graffite nera direttamente da Enrico Isenburg nel convincimento di migliorare le prestazioni. |
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16 - X
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17 - Zebedeo
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18 - Dinghy 12'
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L’idea di origine del progettista era di creare una barca monotipo che riunisse le qualità di tanti scafi che si usavano all'inizio del secolo scorso per andare a passeggio o per fare delle piccole regate, nonché barche utilizzate come tender di navi a vela o di panfili o, ancora, impiegate dai piloti nei porti per approcciarsi alle navi in arrivo o in partenza.
In pochi anni la sua veloce diffusione lo hanno portato a diventare la prima “International Class” nel 1919, per poi essere protagonista alle olimpiadi del 1920 e 1928 come classe “en solitarie”. I primi Dinghy italiani sono stati costruiti nel 1929 e nel 1931 si è tenuto il primo Campionato Italiano. Da allora la sua fama è cresciuta come il numero degli armatori e degli estimatori tanto da far nascere l’Associazione Italiana Classe Dinghy 12’ nel 1969. Il Dinghy esposto, lungo 12 piedi, viene progettato nel 1913 dalla matita di George Cockshott ed è costruito in legno con tecnica a fasciame sovrapposto (detto a clinker), quindi una tavola sull’altra. |
Si ringrazia, per il materiale fotografico, il Signor Giacomo Saglio e l'associazione Flying Dutchman Storici Italiani, nonché Beatricemaria Serpieri.